Scadenza della cartella per decorso dei termini nella metà del tempo: anche per i tributi dovuti allo Stato, secondo la Cassazione, la prescrizione non è di dieci ma di 5 anni.

Quali soluzioni si possono profilare contro una cartella esattoriale? Chi non può pagare ha solo due alternative: o fa ricorso (sempre che ne sussistano i presupposti) oppure attende che si compiano i termini di prescrizione. Se nel primo caso un eventuale rigetto della domanda implica però un’estensione della prescrizione a dieci anni (tale è infatti la prescrizione per tutte le sentenze di condanna del giudice), nel secondo invece c’è la possibilità di liberarsi del debito molto tempo prima. Questo perché, secondo una recente e interessante sentenza della Cassazione [1], la prescrizione della cartella esattoriale è sempre di cinque anni. Incredibile ma vero: non più quindi la classica distinzione tra tributi dovuti allo Stato (per i quali si è sempre ritenuto che il termine fosse di dieci anni) e tributi dovuti agli enti locali (per i quali invece il termine è dimezzato a cinque anni). Il trattamento per le imposte deve essere uguale: questo perché il rapporto con il contribuente è identico, a prescindere da quale sia l’ente impositore.

Si tratta di una pronuncia storica, se vogliamo, che apre le porte alla possibilità di una marea di ricorsi contro pignoramenti, fermi, ipoteche o anche solo contro le intimazioni di pagamento che Agenzia Entrate Riscossione invia periodicamente prima dello spirare dei dieci anni

È il caso di approfondire questa pronuncia e commentare la novità di sicuro interesse per qualsiasi contribuente.

Indice

Prescrizione dei tributi: dieci o cinque anni?

Ogni tassa è regolata da una legge. Ciascuna legge individua il termine di prescrizione del proprio tributo. Ecco che allora sino ad oggi si è detto che, per l’Irpef, l’Iva, l’Irap, il canone Rai, l’imposta di bollo, l’imposta catastale e ipotecaria la prescrizione è di 10 anni. Per l’Imu, la Tasi, la Tari, le multe stradali e le altre sanzioni amministrative, i contributi dovuti all’Inps e all’Inail la prescrizione è di cinque anni. Per il bollo auto la prescrizione è di tre anni.

Questo significa che un eventuale accertamento, notificato dopo tali termini, sarebbe comunque illegittimo.

Nessuna norma ha invece regolamentato la prescrizione delle cartelle esattoriali. Sicché, le Sezioni Unite della Cassazione [2], nel 2016, hanno detto che anche le cartelle seguirebbero lo stesso regime del tributo a cui si riferiscono e di cui chiedono il versamento. Ad esempio, una cartella che intimi il versamento del bollo auto e dell’Imu si prescriverebbe, per la prima parte, dopo 3 anni e per la seconda dopo cinque.

Questo orientamento però è stato più volte criticato da numerose aule di tribunale. Difatti, secondo alcuni giudici, non vi sarebbe ragione per ritenere che l’Irpef e l’Iva, che sono tributi annuali al pari di Imu e Tasi, non debbano anch’essi prescriversi in cinque anni. Di qui alcuni orientamenti che hanno decretato la fine del debito nella metà del tempo.

Cartelle di pagamento: prescrizione sempre in cinque anni

A quest’ultimo filone aderisce la recente sentenza della Cassazione [1] secondo cui tutte le cartelle esattoriali, senza alcuna distinzione in base all’ente impositore, si prescrivono sempre in cinque anni. Quindi sia i debiti con lo Stato che quelli con Comuni, Province e Regioni scadono sempre dopo un quinquennio. E ciò anche per una questione di parità di trattamento visto che il cittadino si pone sempre sullo stesso piano con l’amministrazione finanziaria, a prescindere dal nome che si voglia dare all’imposta e al suo presupposto.

Le imposte – almeno per chi paga – sono tutte uguali, senza alcuna distinzione. Dunque, afferma la Cassazione, «la prescrizione quinquennale è giustificata da un ragionevole principio di equità, che vuole che il debitore venga sottratto all’obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute, tutte le volte che queste non siano tempestivamente richieste dal creditore». Il che serve anche per rafforzare il principio di certezza del debito fiscale e non renderlo fluttuante in base a variabili differenti a seconda del debito stesso.

Del resto è lo stesso Codice civile [2] a stabilire che tutte le obbligazioni che vanno pagate almeno una volta all’anno si prescrivono sempre in cinque anni. E non c’è dubbio che, almeno Irpef, Iva, Irap e Ires siano imposte annuali. Non lo sono invece le altre imposte indirette come l’imposta di bollo o quella catastale.

L’unico modo per interrompere tale breve lasso di tempo è inviare una diffida di pagamento o qualsiasi altro atto interruttivo della prescrizione (un preavviso di fermo o di ipoteca, un tentativo di pignoramento, un’intimazione di pagamento).

Prescrizione tributi e accertamenti fiscali

La Cassazione estende la prescrizione breve non solo alle cartelle esattoriali per debiti erariali, ma anche ai relativi accertamenti e, quindi, a tutti gli atti della pubblica amministrazione. In buona sostanza, i cinque anni valgono non solo dal momento in cui viene notificata la cartella ma ancor prima da quando inizia a decorrere il debito con il fisco. Di qui, il principio affermato dai giudici supremi: «il cittadino potrà chiedere al giudice l’estinzione del credito statale per intervenuta prescrizione breve, non soltanto nei casi di notifica di cartella esattoriale, bensì anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa (avvisi di accertamento, avvisi di addebito ecc.)».

Sempre con riferimento ai crediti erariali, oggi la Cassazione amplia quindi il precedente orientamento espresso nel 2015 [4] secondo cui la prescrizione quinquennale poteva operare solo laddove il titolo esecutivo fosse costituito dalla sola cartella esattoriale mentre in caso di credito erariale costituito da avviso di accertamento la prescrizione sarebbe stata decennale. Ora viene sottolineato che l’estinzione del credito erariale per intervenuta prescrizione quinquennale avviene anche nelle fattispecie riguardanti qualsiasi atto amministrativo di natura accertativa. Situazione più logica soprattutto dopo l’entrata in scena dell’accertamento esecutivo.

Prescrizione cartella bollo auto

E il bollo auto? Ci si potrebbe chiedere: se tutte le cartelle si prescrivono in cinque anni, questo vale anche per la tassa automobilistica per la quale invece la legge fissa una prescrizione di tre anni? L’estensione della prescrizione breve, in questo caso, andrebbe a sfavore del contribuente. In realtà esistono numerose sentenze che hanno ribadito e confermato la prescrizione triennale del bollo. In assenza di smentite è quindi prematuro pensare a un termine più lungo.

Cosa deve fare il contribuente se ha ricevuto una cartella da più di cinque anni

Esulteranno i contribuenti che, più di cinque anni fa, hanno ricevuto una cartella esattoriale, a prescindere dal suo contenuto: stando al nuovo orientamento, il debito sarebbe quindi prescritto e non più dovuto. Ma come è noto, i termini per fare ricorso sono solo di 60 giorni dalla notifica della cartella (30 giorni invece per le cartelle con multe; 40 giorni per quelle con contributi Inps e Inail). Ed allora un’eventuale impugnazione sarebbe rigettata perché ormai tardiva. Come bisogna muoversi? Le strade non sono molte. L’unica cosa da fare è attendere l’eventuale (ma a questo punto improbabile) mossa dell’agente della riscossione e presentare ricorso contro quest’ultima: si potrebbe trattare di un semplice sollecito di pagamento, un fermo o un’ipoteca, un pignoramento. In quell’ipotesi bisognerà sostenere che, nel frattempo, la cartella era caduta in prescrizione per decorrenza dei 5 anni dalla sua notifica.

Una seconda alternativa si profila solo per chi non ha mai ricevuto la notifica della cartella esattoriale e ne ha preso conoscenza grazie a un estratto di ruolo; solo a questi la Cassazione consente di fare ricorso in qualsiasi momento (nonostante quindi il decorso dei 60 giorni).

Difficilmente le richieste di cancellazione del debito per prescrizione vengono accolte con un ricorso in autotutela.

Chi invece ha fatto ricorso contro una cartella e ha perso la causa è tenuto a pagare entro 10 anni e non più cinque: questo perché la prescrizione degli atti giudiziari è sempre decennale.

Che succede dopo 5 anni dalla notifica della cartella

La cartella caduta in prescrizione non legittima più l’avvio di procedure di pignoramento: qualsiasi atto amministrativo quindi successivo alla prescrizione è illegittimo e può essere impugnato.

La prescrizione della cartella di pagamento, ad esempio, rende vani sia i tentativi di recupero del credito da parte dell’amministrazione sia, soprattutto, le azioni esecutive che possono, normalmente, essere poste in essere, quali pignoramenti, provvedimenti di fermo amministrativo o ipoteche. Ancorché non sia sempre agevole ottenere la cancellazione della cartella di pagamento dagli elenchi dell’agente della riscossione, va sottolineato che la prescrizione opera automaticamente, a prescindere da qualsiasi intervento del contribuente o dell’ente creditore.

Attenzione all’interruzione della prescrizione

C’è in ultimo da dire che i termini per la prescrizione possono essere interrotti da una diffida, un’intimazione di pagamento, una notifica di un’ulteriore cartella per gli stessi importi, un preavviso di fermo o di ipoteca in cui venga dettagliato il credito fatto valere, un atto di pignoramento. Dal giorno successivo in cui il contribuente riceve il nuovo atto, il termine di prescrizione inizia a decorrere nuovamente da capo per un ulteriore periodo pari a quello precedente. Quindi, prima di cantare vittoria, bisognerà guardare attentamente nel proprio archivio e verificare eventuali notifiche intervenute medio tempore. E se qualcosa è andato perso, si può presentare una domanda di accesso agli atti amministrativi

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